Andare in bagno nello spazio non è semplice come sulla Terra, ripercorriamo le tappe tecnologiche con un sguardo alle future missioni

A causa della microgravità, andare in bagno nello spazio è un operazione decisamente più complessa di quella che compiamo tutti sulla Terra. Ma anche gli astronauti devono espletare le necessarie funzioni fisiologiche e posizionarsi sul sedile del water. Il gabinetto spaziale funziona grosso modo come un aspirapolvere che aspira aria e scarichi in un serbatoio di raccolta. Inoltre ogni astronauta ha a disposizione un imbuto per le urine. Le ventole aspirano aria e urina attraverso l’imbuto e il tubo in secondo serbatoio delle acque reflue. 

Gli albori dello space wc

A bordo della Stazione Spaziale Internazionale (ISS) c’è una toilette speciale che si trova nel modulo russo Zvezsda. Gli astronauti tecnicamente, devono ancorarsi con delle cinghie per colpa della microgravità. Il bagno non ha uno scarico ad acqua come sulla Terra, ma esiste un tubo di aspirazione che risucchia tutti i rifiuti attraverso un foro. I rifiuti solidi sono compressi e accumulati per essere poi smaltiti successivamente. Le urine invece sono raccolte e riciclate per generare acqua potabile da bere.

Andare in bagno nello spazio è un problema talmente complesso che la NASA, nel 2016, ha indetto un concorso mondiale per raccogliere le idee migliori (rif.) per la raccolta e il riciclo degli escrementi a bordo della Stazione spaziale internazionale chiamato Space Poop Challenge.

Il primo sistema per gestire la raccolta delle feci nello spazio, era molto rudimentale e prevedeva la raccolta delle feci in delle buste. La prima missione spaziale di lunga durata che costrinse gli scienziati a pensare a come risolvere il problema, fu la missione della NASA Gemini 5. La missione, della durata di 8 giorni, aveva il compito di dimostrare l’affidabilità dei sistemi di navigazione della capsula spaziale e l’analisi della reazione fisica e psichica degli astronauti per lo stato in microgravità. 

La storia del bagno spaziale

Nell’agosto 1965 gli astronauti Gordon Cooper e Pete Conrad trascorsero otto giorni in orbita e andarono in bagno quattro volte durante la missione. Gli astronauti si servirono di una busta cilindrica lunga circa trenta centimetri, con un’apertura di quattro centimetri coperta da un adesivo removibile per farla aderire alle natiche. Il contenitore, combinato con un additivo chimico, permetteva di uccidere i batteri e neutralizzare gli odori. Ma le buste di raccolta delle feci non potevano essere buttate fuori dalla capsula e ritornarono con gli astronauti sulla Terra.

Andare in bagno nello spazio, oggi, rimane un operazione complessa. Nel 1965, agli albori del volo spaziale, lo era decisamente di più. La microgravità è il fattore limite dell’operazione, per tale ragione il dispositivo di contenimento fecale fu dotato di una piccola estensione che aiutava gli astronauti con la separazione. Ovviamente non esisteva la privacy, la cabina di Gemini 5 era poco più grande dell’abitacolo di un utilitaria. Sulle missioni Apollo le cose andarono più o meno allo stesso modo. Gli astronauti si spostavano, nel momento del bisogno in un angolo, ed i colleghi si allontanavano verso l’angolo opposto, a pochi metri di distanza.

Con la missione Apollo 10 nacque per gli astronauti l’esigenza di avere un bagno molto simile a quello che usiamo tutti i giorni, dove potersi sedere. Nel corso del tempo furono proposti vari prototipi ma nessuno di questi si rivelò veramente utile. Il primo bagno spaziale funzionante fu montato solo a bordo dello Space Shuttle Atlantis nel 1988. Il modello prevedeva un sedile con una piccola apertura. Quando l’astronauta vi si sedeva sopra, tappandola completamente, tirava una leva aprendo la superficie inferiore del sedile. Una ventola posta all’interno della struttura aiutava l’aspirazione delle feci. Il tempo richiesto per concludere l’intera operazione era di circa 30 minuti.

La toilette del futuro

A bordo della ISS, le cose non sono cambiate molto ed il water fabbricato in Russia è costato di 19mila dollari. Un piccolo seggiolino poggia su un contenitore a cui è fissato un sacchetto usa e getta. Oltre alle dimensioni piuttosto ridotte, che rendono scomoda l’operazione, le feci finiscono in una sorta di sacchetto da sigillare manualmente dopo aver indossato un guanto. Il medesimo sacchetto riposto in un contenitore, viene svuotato automaticamente ogni dieci giorni circa. I rifiuti espulsi dalla ISS, raccolti in una apposita capsula, si disintegrando al contatto con l’atmosfera.

Pur se non sembra un problema di importanza vitale, in realtà, far espletare le funzioni biologiche agli astronauti rappresenta uno dei problemi più importanti da risolvere per le agenzie spaziali nell’immediato futuro. Con l’avvicinarsi delle missioni a lunga durata come l’esplorazione di Marte, la NASA ha indotto un ulteriore concorso per lo sviluppo tecnologico so di una tuta che di un nuovo sistema dedicato ai futuri pionieri.

Sofia Bianchi

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