Nuove evidenze da Curiosity che mostrano come l’acqua salata, percolata tra le rocce di Marte, abbia alterato gli strati sottostanti

Marte: Curiosity scopre rocce di “salamoia”

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Lo strumento Chemistry and Mineralogy (CheMin) a bordo del rover su Marte, Curiosity, ha analizzato alcuni strati di rocce. Il team del Mars Science Laboratory della NASA, ha pubblicato (rif.) i risultati il 9 Luglio sulla rivista Science. Le prove aiutano a distinguere dove la roccia ha conservato, possibili segni di vita marziana. “Pensavamo che gli strati argillosi formati sul fondo fossero rimasti inalterati, conservando le medesime caratteristiche dell’istante in cui si sono formati miliardi di anni fa” ha dichiarato Tom Bristow capo investigatore presso l’Ames Research Center della NASA e autore dell’articolo.

Marte oggi

Oggi Marte è un pianeta dalle condizioni estreme. La mancanza di un atmosfera lo rende freddo, arido e costantemente esposto alle radiazioni. Eppure, miliardi di anni fa, Marte presentava sistemi lacustri, terreno fertile per forme di vita microbica. Quando il clima è mutato, uno di questi laghi, ospitato nel cratere Gale, si è lentamente prosciugato. Gli scienziati hanno trovato nuove evidenze che mostrano come l’acqua super salata, percolata lentamente in profondità tra le rocce marziane, ha alterato gli strati ricchi di materiali argillosi sottostanti.

Gli scienziati hanno confrontato campioni prelevati in due punti a distanza di 400m sul fondo del cratere Gale. A sorpresa in una zona mancavano la metà dei minerali argillosi che si aspettavano di trovare. Pietre fangose ricche di ossidi di ferro, che conferiscono a Marte la sua tipica colorazione ruggine, sostituiscono i minerali argillosi.

I minerali sono come le capsule del tempo, forniscono un istantanea di come fosse l’ambiente nel momento in cui si formano. Quelli di tipo argilloso, sono ricchi di acqua e sono la prova che questi terreni sono venuti a contatto l’acqua. “Dal momento che i minerali che troviamo su Marte si formano anche in alcune località della Terra, possiamo usare ciò che sappiamo per conoscere quanto fossero salate o acide le acque su Marte” ha dichiarato Liz Rampe, ricercatore principale del Johnson Space Center e coautore della ricerca.

Le argille di Marte scoperte da CheMin

Alcune ricerche precedenti avevano già confermato che l’acqua era penetrata nel sottosuolo trasportando con se diverse sostanze chimiche. Questo fango depositandosi sotto lo strato superficiale hanno mutato la mineralogia circostante. Questo fenomeno è noto con il nome di “diagenesi”. La diagenesi crea le condizioni ideali per la proliferazione di vita microbica, come dimostrato il alcuni habitat unici sulla Terra, chiamate “biosfere profonde”. “Questi sono posti eccellenti per cercare prove di vita antica”, ha affermato John Grotzinger, co-investigatore di CheMin e coautore al Caltech. “Anche se la diagenesi può cancellare i segni di vita nel lago originale, crea i gradienti chimici necessari per supportare la vita nel sottosuolo, quindi siamo davvero entusiasti di averlo scoperto”.

Confrontando i minerali di entrambi i campioni analizzati da CheMin, il team ha concluso che l’acqua salmastra che filtrava tra i sedimentati era responsabile dei cambiamenti minerali nel sottosuolo di Marte. A differenza dell’acqua dolce che genera un sedimento fangoso, si sospetta che l’acqua salata provenga da laghi presenti in un ambiente più secco. Gli scienziati ritengono che questi risultati sono un ulteriore prova degli impatti dei cambiamenti climatici sul pianeta marziano avvenuti miliardi di anni fa.

Queste informazioni verranno utilizzate anche dal team del rover Perseverance Mars 2020 della NASA nella selezione di campioni di roccia da riportare sulla Terra. “Abbiamo imparato qualcosa di molto importante grazie a Curiosity: non tutte le rocce di Marte sono ideali per indagare la presenza di una eventuale vita passata sul pianeta” ha affermato Ashwin Vasavada, scienziato del progetto Curiosity e coautore. “La nostra fortuna è che entrambi le tipologie sono presenti nello stesso cratere ed ora possiamo usare la mineralogia per distinguerle”.

Stefano Gallotta

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