Una nuova mappa dell'Universo mette in luce un incomprensibile discrepanza tra il modello cosmologico accettato ed i risultati ottenuti

Gli scienziati hanno realizzato la mappa più dettagliata della materia dell’Universo e questa mette in evidenza che potrebbe mancare qualcosa nel modello del cosmo. Creata unendo i dati di due telescopi che osservano diversi tipi di luce, l’ultima mappa ha rivelato che l’Universo è meno grumoso di quanto previsto dai modelli precedenti. Un evidente segno che, la vasta rete cosmica che collega le galassie è meno compresa di quanto pensassero gli scienziati. 

Una strana discrepanza

Secondo la nostra attuale comprensione, l’Universo è una gigantesca rete di superstrade celesti che si incrociano, formate dal gas idrogeno e dalla materia oscura. Prendendo forma dopo il caotico Big Bang, queste superstrade si sono formati come i grumi dal brodo ribollente del giovane Universo. Dove più fili della rete si intersecavano, c’era abbastanza materia per formare le galassie.

 Ma la nuova mappa dell’Universo, pubblicata il 31 gennaio, accompagnata da ben 3 studi scientifici separati (rif.) (rif.) (rif.) pubblicati sulla rivista Physical Review D, mostra tutt’altro. In molte parti del cosmo la materia è meno densa e distribuita più uniformemente di quanto dovrebbe essere. “Sembra che ci siano un po’ meno fluttuazioni nell’universo attuale di quanto prevediamo assumendo il nostro modello cosmologico standard ancorato all’universo primordiale”, ha dichiarato il coautore Eric Baxter, astrofisico dell’Università delle Hawaii .

La storia dell’Universo

Secondo il modello standard, l’Universo ha cominciato a prendere forma dopo il Big Bang, quando il giovane cosmo pullulava di particelle sia di materia che di antimateria, che si annientavano a vicenda al contatto. La maggior parte degli elementi costitutivi dell’Universo sono stati spazzati via in questo modo. Ma il tessuto dello spazio-tempo in rapidissima espansione, insieme ad alcune fluttuazioni quantistiche, ha fatto sì che alcune sacche del plasma primordiale sopravvivessero.

La forza di gravità ha presto compresso queste sacche di plasma su se stesse, riscaldando la materia mentre veniva schiacciata l’una contro l’altra. A quel punto, la maggior parte della materia dell’Universo era distribuita come una serie di filamenti sottili che circondavano innumerevoli vuoti cosmici. Una volta che questa materia, principalmente idrogeno ed elio, si è sufficientemente raffreddata, si è coagulata ulteriormente per dare vita alle prime stelle che, a loro volta, hanno forgiato elementi sempre più pesanti attraverso la fusione nucleare.

Come si è costruita la mappa

Per arrivare all’ultima mappa dell’Universo, i ricercatori hanno combinato le osservazioni effettuate con il Dark Energy Survey in Cile ed il South Pole Telescope, che si trova in Antartide. Il primo ha scansionato il cielo nelle frequenze ultraviolette, visibili e vicine all’infrarosso dal 2013 al 2019. Il secondo studia le emissioni di microonde che costituiscono la radiazione di fondo. Sebbene osservino diverse lunghezze d’onda della luce, entrambi i telescopi hanno utilizzato una tecnica chiamata lente gravitazionale per mappare l’aggregazione della materia. 

La lente gravitazionale si verifica quando un oggetto cosmico massiccio si trova tra i nostri telescopi e la sua sorgente. Quindi la luce proveniente da un punto dietro il massiccio oggetto cosmico appare deformata, in proporzione alla massa presente in quello spazio. Questo rende la lente gravitazionale uno strumento eccellente per tracciare sia la materia che la sua misteriosa materia oscura. Infatti nonostante la materia oscura costituisca l’85% dell’Universo, non interagisce con la luce se non distorcendola con la gravità generata dalla sua massa.

Con questo approccio, i ricercatori hanno utilizzato i dati di entrambi i telescopi per individuare la posizione della materia ed eliminare gli errori di un telescopio confrontandolo con quello dell’altro. “Funziona come un controllo incrociato, quindi diventa una misura molto più robusta che se si usasse solo l’una o l’altra”, ha dichiarato l’autore principale Chihway Chang , astrofisico dell’Università di Chicago.

Le possibili spiegazioni della discrepanza

La mappa dell’Universo prodotta dai ricercatori si adattava perfettamente alla nostra comprensione di come si è evoluto il cosmo, ad eccezione di una discrepanza chiave. Il cosmo appare più uniformemente distribuito e meno raggruppato di quanto suggerirebbe il modello standard della cosmologia. Esistono due possibili spiegazioni.  

La prima è che stiamo semplicemente osservando l’Universo in modo troppo impreciso. Quindi la deviazione dal modello scomparirà man mano che avremo strumenti migliori con cui scrutare il cosmo. La seconda, e più significativa, possibilità è che il nostro modello cosmologico manchi di leggi fisiche importanti. Scoprire quali leggi mancano richiederà indagini incrociate e mappature, oltre ad una revisione della comprensione più profonda dei vincoli cosmologici.

“Non esiste al momento una spiegazione fisica nota per questa discrepanza”, hanno scritto i ricercatori in uno degli studi. “L’incrocio tra le analisi future consentiranno studi di correlazione significativamente più potenti che forniranno vincoli cosmologici più precisi e accurati che ci consentiranno di continuare a stressare il modello cosmologico standard”.

Stefano Gallotta

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